The Conversation/Corriere della Sera 12.4.2020
Nel 1962, una soffiata della Cia lo consegnò al regime bianco, iniziarono i suoi 27 anni e mezzo di prigionia, di cui 18 nel carcere di Robben Island. Ma tra le molte cose che finirono, non ci fu mai l’attività fisica.
La guardia che lo accolse gli disse che sarebbe morto lì. Il primo modo per smentirla era combattere la monotonia: «La vita in prigione è routine: ogni giorno è uguale al giorno prima, ogni settimana alla settimana prima, così mesi e anni si mescolano tra loro». La sua routine da prigioniero numero 46664 era spaccare pietre fino a non poterne più. Ma decise che non poteva essere una scusa per smettere di muoversi. Così cominciò a ricrearsi la sua routine, rendendo la sua cella di 2,59 metri di lunghezza per 2,3 metri di larghezza il più possibile simile alla sua palestra di Soweto.
E allora eccovi la scheda di un personal trainer specialissimo:
— Sveglia alle 5
— Corsa sul posto per 45 minuti
— 100 flessioni sulle punte delle dita
— 200 esercizi per gli addominali
— 50 piegamenti sulle ginocchia
— 50 esercizi calistenici "burpees" (se non sapete cosa siano, come me fino a oggi, eccoli qui: sono massacranti...)
— 50 esercizi calistenici star jumps Tutto questo ogni giorno dal lunedì al giovedì. Gli altri tre giorni si riposava. Non smetteva mai, nemmeno quando finiva in isolamento.
Nel 1988 si ammalò di tubercolosi. Sputava sangue, finì in ospedale. Poi fu trasferito alla prigione Victor Verster, dove dovette ridimensionare l'attività ginnica ma potè usare la piscina.
L’11 febbraio 1990 Nelson Mandela uscì di prigione. Nel 1994 divenne il primo presidente del Sudafrica democratico. Nel 1999 lasciò la politica. Non smise mai del tutto di muoversi. Morì il 5 dicembre 2013, a 95 anni, di infezione alle vie respiratorie. Ha sempre detto che senza l'esercizio fisico non sarebbe sopravvissuto al carcere: «Era uno sfogo essenziale alle mie frustrazioni». Ci ha sempre ispirato, ma mai come in questi giorni.
La guardia che lo accolse gli disse che sarebbe morto lì. Il primo modo per smentirla era combattere la monotonia: «La vita in prigione è routine: ogni giorno è uguale al giorno prima, ogni settimana alla settimana prima, così mesi e anni si mescolano tra loro». La sua routine da prigioniero numero 46664 era spaccare pietre fino a non poterne più. Ma decise che non poteva essere una scusa per smettere di muoversi. Così cominciò a ricrearsi la sua routine, rendendo la sua cella di 2,59 metri di lunghezza per 2,3 metri di larghezza il più possibile simile alla sua palestra di Soweto.
E allora eccovi la scheda di un personal trainer specialissimo:
— Sveglia alle 5
— Corsa sul posto per 45 minuti
— 100 flessioni sulle punte delle dita
— 200 esercizi per gli addominali
— 50 piegamenti sulle ginocchia
— 50 esercizi calistenici "burpees" (se non sapete cosa siano, come me fino a oggi, eccoli qui: sono massacranti...)
— 50 esercizi calistenici star jumps Tutto questo ogni giorno dal lunedì al giovedì. Gli altri tre giorni si riposava. Non smetteva mai, nemmeno quando finiva in isolamento.
Nel 1988 si ammalò di tubercolosi. Sputava sangue, finì in ospedale. Poi fu trasferito alla prigione Victor Verster, dove dovette ridimensionare l'attività ginnica ma potè usare la piscina.
L’11 febbraio 1990 Nelson Mandela uscì di prigione. Nel 1994 divenne il primo presidente del Sudafrica democratico. Nel 1999 lasciò la politica. Non smise mai del tutto di muoversi. Morì il 5 dicembre 2013, a 95 anni, di infezione alle vie respiratorie. Ha sempre detto che senza l'esercizio fisico non sarebbe sopravvissuto al carcere: «Era uno sfogo essenziale alle mie frustrazioni». Ci ha sempre ispirato, ma mai come in questi giorni.
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